lunedì 21 settembre 2009

Sezioni unite 11 novembre 2008: scacco matto al danno esistenziale

La dottrina sul danno esistenziale sviluppatasi negli anni, a partire dai primi del ’90, ha consolidato la teoria secondo cui esiste una categoria autonoma di danno, c.d. esistenziale, nell’ambito della tutela risarcitoria del danno non patrimoniale. Tale categoria era ritenuta distinta dal danno biologico , in assenza della lesione dell’integrità psico-fisica, e dal danno morale, in quanto non attinente alla sfera interiore del sentire ma alla sfera del fare non reddituale del soggetto. Essa nasceva nell’intento di superare i limiti sanciti dall’art. 2059 relativi alla tutela risarcitoria per i pregiudizi di natura non patrimoniale. Si affermava che nel caso in cui il fatto illecito limitasse le attività realizzatrici dell’attività umana, obbligando il soggetto ad adottare nella vita di tutti i giorni comportamenti diversi da quelli passati, si realizzasse un nuovo tipo di danno definito con l’espressione danno esistenziale (P. Cendon, Non di sola salute vive l’uomo, in Studi Rescigno, V , Milano, 1999). Secondo la storica sentenza 233/03 della Corte Costituzionale, preceduta dalle sentenze “gemelle” 8828 e 8827 del 2003 della Suprema corte di cassazione, il danno esistenziale sarebbe consistito nella lesione di diritti e interessi costituzionalmente garantiti inerenti alla persona umana diversi dal diritto alla salute, che sconvolgesse le attività a-reddituali del soggetto leso.

La recezione di questo principio si è radicata sempre più nella giurisprudenza di merito e di legittimità che ha sovente utilizzato l’assunto secondo cui il danno esistenziale deve essere inteso come “ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto inducendolo a scelte di vita diverse, quanto all’espressione e alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno, da quelle che avrebbe compiuto ove non si fosse verificato il fatto dannoso” (cfr. Cass. S.U. 24.03.2006 n. 6572; Cass. 6.2.2007 n. 2546; Cass. 28.8.2007 n. 18199). Le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione con le sentenze n. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008, destinate a fare storia, hanno consacrato un cambiamento di rotta, cancellando il c.d. danno esistenziale, giudicandolo una “duplicazione del c.d. danno biologico e del danno morale”. Tanto sulla base del presupposto secondo cui il danno non patrimoniale “è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate”. In particolare, osserva la Corte nella sentenza 26972, non può farsi riferimento ad una generica sottocategoria denominata danno esistenziale, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura categoriale del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario ne è necessitata dall’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione. Ciò però non implica un assoluto rifiuto della Suprema Corte in ordine al danno esistenziale, il quale benché non potrà più essere considerato come voce autonoma di danno non patrimoniale potrà, comunque, essere risarcito in virtù di una valutazione che il giudice dovrà compiere caso per caso; all’uopo la cassazione si è lasciata andare in qualche esempio rivelatore di quali danni, da domani, potranno e non potranno più essere risarciti: ha, difatti, condiviso l’orientamento delle sentenze “gemelle” in ordine al risarcimento del danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto, ovvero del danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all’immagine, al nome e alla riservatezza. Destino diametralmente opposto avranno i pregiudizi, le ansie, il diritto alla qualità della vita, lo stato di benessere. Secondo gli Ermellini del Palazzaccio il risarcimento del danno alla persona dovrà, in ogni caso, essere integrale, nel senso che “dovrà ristorare integralmente il pregiudizio, ma non oltre”. Come detto sarà, quindi, compito del giudice, da ora in poi, accertare l’effettiva sussistenza del pregiudizio allegato, “individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione”, e tenendo a mente che “potranno costituire solo voci del danno biologico nel suo aspetto dinamico … i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica”. In definitiva con le sentenze in commento la Suprema Corte di cassazione ha messo un punto fermo sulle voci di danno risarcibile, eliminando i rischi di risarcimento dei c.d. danni bagatellari, ovvero sui danni di modestia entità che non incidono su valori costituzionali. Si è eliminata, quindi, la possibilità di riconoscere il danno esistenziale nelle ipotesi, ad esempio, di un ritardo nell’istallazione di un impianto telefonico (Trib. Milano 27.11.2000) o per la distruzione della ciocca di capelli della prima fidanzata (P. Cendon, Op. cit.)!

da: www.ovelex.com

venerdì 3 luglio 2009

Danno non Patrimoniale in seguito a Demansionamento

L’art. 2103 c.c. tutela il lavoratore e in particolare sancisce che “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alla mansioni per le quali è stato assunto….”.
Il declassamento di categoria e/o retributivo rappresenta una lesione economica e personale, minando la dignità del prestatore di lavoro.
In caso di demansionamento e dequalificazione professionale, la lesione provocata al lavoratore è potenzialmente produttiva di danni patrimoniali, ma anche, ove dimostrato, di danni non patrimoniali, negli asoetti morali, biologici ed esistenziali.

giovedì 2 luglio 2009

Danno da wrongful life

Con questo termine si intende il danno derivante da interferenza avvenuta nella vita fetale, sia esso danno psichico che dovesse determinarsi nel nascituro, ovvero danno esistenziale. E’opportuno distinguere ulteriormente tra:
wrongful life, richiesta di risarcimento di un soggetto nato malformato, o con altra condizione di svantaggio esistenziale, nei confronti di genitori o terzi. Tale danno può essere conseguenza di un fatto anteriore al concepimento, o della malattia di uno o di entrambi i genitori, o conseguenza di una diagnosi errata prenatale che non abbia consentito alla madre di interrompere la gravidanza. Solo in quest’ultimo caso, individuato il fatto ingiusto, il risarcimento spetta non solo ai genitori, come danno psichico o esistenziale, ma anche al bambino stesso.
wrongful birth: richiesta di risarcimento dei genitori nei confronti di sanitari per atti di imperizia, imprudenza o negligenza avvenuti durante il parto.
wrongful pregnancy: richiesta di risarcimento relativa alla nascita non programmata di un bambino dovuta ad errori in pratiche contraccettive, di sterilizzazione o di interruzione della gravidanza.

Danno da colpa professionale

Il Danno da colpa professionale è un danno causato da errore professionale, da comportamenti di imperizia, imprudenza negligenza da parte di un professionista nei riguardi di un cliente, o dalla mancata o parziale applicazione di procedure o regolamenti riconosciuti dalla comunità scientifica.
Nel caso in cui tale errore professionale, commissivo o omissivo, dovesse provocare una menomazione dell’integrità psico-fisica della persona o un’alterazione della personalità nel mondo esterno è possibile chiedere un risarcimento per danno non patrimoniale, o entrambi, a seconda delle conseguenze subite. In caso di morte, il danno va riconosciuto ai congiunti, e prevede il risarcimento secondo i criteri del danno da lutto.

Infortuni sul lavoro

L’art. 2087 c.c. obbliga il datore di lavoro a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti. Tale norma pone a carico del datore di lavoro dei precisi obblighi di garanzia e protezione ai fini individuali, aggravando quindi il reato, rendendolo perseguibile d’ufficio.
La responsabilità datoriale ha natura contrattuale, per cui è lo stesso datore di lavoro, in base all’art. 1218 c.c., che ha l’onere di provare che l’inadempimento della prestazione contrattuale è dipeso a causa a lui non imputabile. Il lavoratore deve invece provare l’esistenza del danno, cioè la lesione dell’integrità psicofisica e il nesso di causalità tra prestazione lavorativa e danno sia esso danno biologico o danno esistenziale.
Il D.Lgs. 626 del 1994, sancisce l’importanza della salute e della sicurezza sul posto di lavoro. L’ambiente di lavoro deve garantire il benessere psicofisico dei lavoratori.
Il D.Lgs. 38 del 2000 “Disposizioni in materia di assicurazione contro infortuni sul lavoro e malattie professionali”, riporta delle tabelle di valutazione degli infortuni e delle malattie professionali, tenendo conto per la prima volta nella storia di tale materia, oltre alla perdita della capacità lavorativa, anche del danno biologico di natura psichica.
Anche un danno psichico derivante da azioni di mobbing potrebbe essere indennizzabile dall’Inail, pur non essendo presente nelle tabelle di tale Decreto in quanto l’art.10 del D.Lgs. 38/2000 definisce “malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle, delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale”.

sabato 27 giugno 2009

Mobbing Lavorativo

Per “mobbing” si intende non una patologia, ma una forma di terrore psicologico messa in atto nell’ambiente di lavoro mediante una serie di comportamenti aggressivi e vessatori deliberatamente voluti, ripetuti nel tempo, da parte del datore di lavoro, superiori o colleghi nei confronti di una vittima designata.
La persona oggetto di mobbing viene messa in una posizione di debolezza e aggredita in modo più o meno diretto, da una o più persone per un lungo periodo con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro.
Le condotte mobbizzanti riguardano strategie comportamentali che impediscono alla vittima di esprimersi, la isolano, distruggono la sua reputazione agli occhi dei colleghi, la discreditano nel suo lavoro, ne compromettono la salute affidandogli incarichi gravosi, stressanti o pericolosi.
La vittima di mobbing perde gradatamente la stima professionale di sé e la motivazione al lavoro nel contesto socio-ambientale di riferimento. Le azioni di mobbing possono provocare alterazioni riguardanti:
- l’equilibrio socio-emotivo della vittima, che potrà sviluppare sintomi quali ansia, depressione, attacchi di panico, isolamento, ossessioni e depersonalizzazione;
- l’equilibrio psico-fisico attraverso la comparsa di sintomi psico-somatici quali: cefalea, vertigini, tachicardia, disturbi gastrointestinali, alterazioni del sonno, delle funzioni sessuali,
- disturbi del comportamento quali: tendenza alla passività, mancanza di appetito, gesti auto o etero aggressivi, abuso di alcol o farmaci.
L’aggressione alla sfera psichica dell’individuo potrà tradursi in una menomazione alla propria integrità psicofisica, cioè in una condizione di vera e propria psicopatologia (danno biologico) o in una serie di alterazioni del suo modo di essere nelle relazioni lavorative, sociali, e infine familiari che ledono la piena espressione della sua personalità nel mondo esterno (danno esistenziale).
Nel caso in cui il lavoratore mobbizzato veda compromessa, temporaneamente o con postumi permanentemente invalidanti, la propria salute, il datore di lavoro è chiamato a rispondere a pieno titolo in sede civile della lesione all’integrità psicofisica in base agli art. 32 della Costituzione, ma soprattutto in base all’art. 2087 c.c. che regola la responsabilità contrattuale nel rapporto di lavoro e che lo obbliga ad adottare misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. La personalità morale è tutelata inoltre dall’art.2 Cost., e in particolare dall’art. 41 Cost., che sancisce il divieto per l’iniziativa economica privata di recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana.
In sede penale, in base al D.Lgs. n. 626/1994 il datore di lavoro è responsabile, insieme ai lavoratori, della sicurezza e della salute del lavoratore durante il lavoro, ed è sanzionato penalmente in caso di omissione.
Per quanto riguarda le vessazioni sul lavoro, sono inoltre sono imputabili di reato tutte quelle condotte che abbiano di per sé rilievo penale: dall’ingiuria (art. 594 c.p.) e la diffamazione (art. 595 c.p.) alle molestie e molestie telefoniche (art. 660 c.p.), alla violenza sessuale (art. 609bis c.p.), alla violazione, sottrazione e soppressione della corrispondenza (art.616 c.p.), al sequestro di persona (art. 605 c.p.), alle percosse (art. 581 c.p.) alle lesioni personali (art. 582 c.p.) all’omicidio (art.575 c.p.) all’istigazione o aiuto al suicidio (art.580 c.p.).
Come in ogni altra tipologia di danno alla persona, una volta riconosciuta la responsabilità, civile e/o penale, di un “mobber”, la legge lo obbliga al risarcimento del danno in base agli articoli 2043 c.c. e 185 c.p.
Anche in caso di “corresponsabilità” del lavoratore mobbizzato, non è consentito l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità risarcitoria per danni in caso di condotta negligente o imprudente del soggetto offeso. Le azioni ostili non possono escludersi nemmeno nel caso in cui il dipendente avesse contribuito con il proprio comportamento a creare una situazione di incompatibilità ambientale, ovvero avesse accettato compiti faticosi e stressanti.

Il Danno Esistenziale

Il danno esistenziale (risarcibile in base agli art 2059 c.c. e art. 2 Cost.;) consiste nel peggioramento o nell’impoverimento della qualità della vita di un individuo derivante dalla lesione di valori fondamentali alla persona, costituzionalmente garantiti, e che pregiudica l’effettiva esplicazione della personalità del soggetto nel mondo esterno.
A differenza del danno biologico, il danno esistenziale non riguarda la lesione del bene salute, bensì il peggioramento oggettivamente riscontrabile delle condizioni di esistenza di un individuo, dovuto ad un non poter più fare, o ad un “diminuito ventaglio delle attività realizzatrici in confronto a ciò che avrebbe potuto fare laddove il fatto ingiusto non avesse avuto luogo”.
E’ fondamentale, ai fini risarcitori, che la violazione riguardi interessi di rango costituzionale inerenti alla persona, di contenuto apprezzabile, che si sostanziano nell’alterazione di attività ritenute fondamentali per lo sviluppo e la piena realizzazione della personalità, quali:
•attività di carattere biologico-sussistenziale
•relazioni affettive e familiari
•relazioni sociali
•attività di carattere culturale e religioso
•attività ludiche e sportive
Le modificazioni dei normali ritmi di vita e delle attività quotidiane del danneggiato producono solitamente uno stato di disagio che, pur non sfociando in una vera e propria patologia, incide negativamente sulla qualità della vita del soggetto. La vittima di danno esistenziale può manifestare dei cambiamenti nella personalità, nel proprio modo di essere, consistenti nel disinteresse per attività prima piacevoli, nel maggior affaticamento, nella tendenza alla passività, nella chiusura in se stesso, in disturbi del sonno, interrogativi sul significato della vita, riduzione dell’appetito, dell’attività sessuale, ecc.
Il nostro intervento di valutazione di risarcimento del danno esistenziale prevede l'accertamento di tali alterazioni comportamentali, la loro relazione con le caratteristiche di personalità del soggetto, con la rilevanza dell’interesse violato, con il valore e il significato che assume quell'interesse all’interno della vita e della storia personale del soggetto, con attività svolte dalla vittima prima dell’evento lesivo e le alterazioni provocate in ambito familiare e sociale.